La Valle della Motta, che si estende e si dirama per alcuni chilometri verso Chiasso, da origine ad un paesaggio agricolo e forestale del tutto particolare.
Un paesaggio non solo interessante da un punto di vista estetico, ma anche straordinariamente ricco di contenuti naturali. La Valle della Motta è uno dei principali poli verdi nella pianura urbanizzata del Mendrisiotto e merita dunque il nostro massimo rispetto.
Grazie alla sua posizione centrale e alla facilità di accesso e di percorrenza, essa possiede anche un valore elevato quale area di svago per la popolazione del grande agglomerato che si estende tra Chiasso, Mendrisio e Stabio.

Il progetto di Parco intende sviluppare le vocazioni naturalistiche e ricreative della Valle della Motta, al fine di offrire alla comunità un luogo di qualità ambientale che sarà nel tempo sempre più importante.

L’ origine del Parco Valle della Motta

Per molti decenni la Valle della Motta, che si snoda lungo circa 3 chilometri nei Comuni di Genestrerio, Coldrerio e Novazzano, è rimasta un luogo poco frequentato e risparmiato dalla vertiginosa urbanizzazione avvenuta in pochi anni nelle immediate zone circostanti. Questo fino al 1988, quando si è deciso di trasformare la parte alta della Valle in discarica per rifiuti.
Per dissodare la vasta area boschiva presente nella parte poi adibita a deposito rifiuti, è stato necessario chiedere l’autorizzazione federale. Da questa scaturì la necessità di effettuare uno studio per conoscere le particolarità naturalistiche presenti nella zona interessata dalla discarica per poter compensare, dove possibile, quanto annientato con interventi mirati di ricostituzione di habitat nella rimanente area della Valle della Motta.
Lo studio è servito quale base per la realizzazione di un Piano di utilizzazione cantonale (PUC), che rappresenta lo strumento pianificatorio che definisce le utilizzazioni e gli obbiettivi di sviluppo del parco.

Perimetro e zone

Il Parco della Valle della Motta si estende su 163 ettari (ha), sul territorio giurisdizionale dei comuni di Coldrerio (39 ha) e Novazzano (124 ha). E’ caratterizzato da un perimetro che include tutta la valle in cui scorre la Roncaglia, nonché i boschi e le aree agricole che formano con essa un’unità paesaggistica ben definita. Al suo interno il Parco è suddiviso in vari settori, per ognuno dei quali esistono precise prescrizioni, che indicano le attività ammesse e quelle vietate. Si distinguono le seguenti zone:

  • le zone di protezione della natura, dove sono presenti i biotopi più importanti e più delicati oppure dove ne è previsto il recupero. In queste aree sono in genere ammessi unicamente interventi di gestione naturalistica. Nel Parco vi sono tre zone di questo tipo. La prima, in località Fornace, è caratterizzata dalla presenza di boschi umidi, stagni e ruscelli, particolarmente importanti anche quali collegamenti ecologici. La seconda, in zona Loi, presenta un mosaico di ambienti umidi e secchi molto rari. Infine la terza, situata presso il confine sud orientale del Parco, è già oggi un monumento geologico assai importante per la presenza di argille plioceniche. L’area si presta inoltre al recupero di ambienti umidi, quali zone golenali, stagni, acquitrini, come pure di ambienti ruderali.
  • Le zone agricole, che comprendono tutti i prati, i campi e i vigneti coltivati dalle aziende presenti nel Parco o che coltivano terreni al suo interno. Tali zone si suddividono in due categorie. La prima interessa i comparti utilizzati ancora in modo tradizionale ed estensivo e forma un paesaggio rurale ben strutturato, arricchito di ambienti naturali quali siepi, margini boschivi e singoli biotopi: ne sono esempi la campagna che si estende in località alla Motta (Coldrerio) oppure le coltivazioni nei dintorni del Mulino del Daniello. Sono invece incluse nella seconda categoria, destinata ad essere valorizzata dal profilo naturalistico e paesaggistico, le superfici di tipo più intensivo, prevalentemente formate da campi e vigneti.
  • L’area forestale, che comprende dei boschi di pianura (detti planiziali). In questo ambito il progetto di Parco prevede l’istituzione di un’area di riserva, nella quale si rinuncia volontariamente all’esecuzione di interventi di gestione a favore dello sviluppo di boschi più maturi: all’interno di tale riserva forestale il bosco, verrà dunque lasciato alla sua evoluzione naturale. La parte restante dei boschi potrà per contro essere parzialmente utilizzata dai singoli proprietari per la produzione di legna da ardere.
    La zona per attrezzature e edifici privati di interesse pubblico, che comprende tutta l’area circostante il Mulino del Daniello. Il progetto di Parco riconosce infatti al mulino un ruolo di polo, dove concentrare le strutture di accoglienza e incentivare le attività ricreative e didattiche.
  • La responsabilità del Parco è affidata alla Fondazione Luigi e Teresa Galli, che gestiva già in precedenza il comprensorio del Parco del Mulino Daniello, affiancata da una Commissione

Tavole didattiche che descrivono le particolarità della zona
scientifica a carattere consultivo.

I sentieri

La creazione del Parco ha portato al ripristino di una rete di sentieri che permettono un collegamento pedonale tra diversi Comuni del Basso Mendrisiotto, percorribili all’interno di ambienti naturali di particolare bellezza. Lungo il sentiero principale sono presenti delle tavole didattiche che descrivono le particolarità della zona.

Gli obiettivi

Ogni parco naturale pone al centro del proprio interesse la conservazione della natura, abbinata alla promozione di attività ricreative e didattiche. Il Parco della Valle della Motta non fa eccezione e persegue questi obiettivi generali attraverso:

  • La protezione e la valorizzazione degli ambienti di interesse naturalistico presenti nel comprensorio e della sua funzione di collegamento ecologico;
  • il ricupero, per quanto possibile, dei valori naturalistici e paesaggistici andati persi a causa della realizzazione della discarica;
  • la promozione di un’attività agricola di tipo estensivo, attraverso il sostegno alle singole aziende presenti nel Parco;
  • la promozione della funzione ricreativa e di svago del comprensorio, compatibilmente con le esigenze di protezione delle componenti naturali;

Il Parco intende dunque da un lato creare nuove strutture e ambienti favorevoli alla flora e alla fauna indigene e caratteristiche della Valle della Motta, dall’altro vegliare affinché le utilizzazioni che trasformano il territorio rispettino la natura e le sue funzioni.

Geologia

Le rocce del Medio-Basso Mendrisiotto raccontano l’evoluzione della Terra fra il Triassico e l’epoca attuale. Le formazioni della Valle della Motta documentano gli ultimi 25 milioni di anni di questa complessa evoluzione paleo-geografica e climatica.

I sedimenti più antichi sono quelli del Flysch tardo cretacico e dalla Gonfolite Lombarda di età oligo-miocenica. Le rocce sono incise da profondi canyon ora sepolti, la cui base si trova a 500 m sotto il livello del terreno, e che testimoniano l’essiccamento del Mediterraneo nel messiniano (5-6 milioni di anni fa). Fra 4 e 5 milioni di anni fa la rottura del diaframma a Gibilterra riportò le acque nel Mediterraneo, che penetrarono in profondità sul versante Sud delle Alpi. I canyon furono successivamente colmati da sedimenti provenienti dall’erosione delle Alpi.
La Valle della Motta, fino a ca. 2 milioni di anni fa, si trovava su un braccio di mare che penetrava dal Golfo Padano, come documentano le argille marine affioranti nella parte inferiore della valle. La ricca fauna fossile (bivalvi, ricci di mare, gasteropodi, rari crostacei e pesci) della cava di Castel di Sotto (Geotopo di importanza nazionale), testimonia condizioni temperate, di mare poco profondo.
I sedimenti quaternari, di origine glaciolacustre e fluvio-deltizio, si formarono durante l’ultima fase di espansione glaciale wurmiana, denominata Episodio di Cantù (Pleistocene superiore).
In quel periodo la Valle della Motta si trovava nella zona di contatto di due bacini distinti: a Nord quello di Capolago-Mendrisio-Stabio e, a Sud-Est, quello di Como-Chiasso. In epoca glaciale il territorio del Comasco e del Mendrisiotto era coperto da un’estesa coltre di ghiaccio, formata dall’unione del lobo di Cernobbio-Chiasso-Faloppio del ramo lariano con quello di Porlezza-Capolago-Stabio del Ghiacciaio dell’Adda.
Al termine della Fase di Cantù (24-22’000 anni fa) i due bracci di ghiaccio si separarono.
Dopo il loro ritiro verso Mendrisio-Capolago e Chiasso-Cernobbio (ca. 22’000 anni fa), le acque di fusione trasportarono grosse quantità di sedimenti che formarono grandi delta, vaste piane fluvioglaciali e permisero lo sviluppo di numerosi laghi. La forma, dimensioni e posizione di questi ultimi variava in funzione della loro posizione e della distanza rispetto al fronte dei ghiacci.
Al loro ritiro, alcune migliaia di anni dopo, inizialmente fino a Cernobbio e più tardi fino a Tremezzo-Bellagio, si formò un vasto delta che a Maslianico separava i laghi di Como e Chiasso. A seguito del suo collasso, i due laghi si unirono. L’ulteriore ritiro del ghiacciaio verso Nord determinò l’unione del Lago di Como con quello di Lecco.

L’accesso al parco è libero e gratuito, ma potete anche prenotare una visita con guida contattando:

Chiama al 0041(0)91.690.10.29 o scrivi a riservazioni@parcobreggia.ch